Lo Squicchietto - Il racconto
Lo Squicchietto ( per le
allodole )
Versione AUDIO: https://soundcloud.com/user-809160538-852922838/losquicchietto_001_colonnasonora-190319-1700
Squicchiando, l'uccellino aprì con le ali la piccola parete di fili d’erba che si trovava davanti a sé.
Era
ormai diventato adulto e aveva da tempo lasciato il suo nido, volando
a sbatti d’ali.
Mamma
Squicchietto l'aveva erudito in tutto quello che si sarebbe dovuto
aspettare dalla vita: il procacciarsi il cibo, le squicchionze
pericolose e le cattive compagnie. E le compagne giuste: quelle con
cui fare il nido e aspettare tanti squicchionzi.
Ma
aveva dimenticato, la mamma, di parlare dell'uomo, quello con le due
gambe che regge
il bastone che spara.
Papà
squicchietto, dal canto suo, gli aveva insegnato tutti i trucchi del
mestiere di squicchionzo: dove trovare le squicchionze che la danno
solo per un seme di
melone, dove trovare le cattive compagnie e come diventare il
capogruppo; come raccontare balle alla squicchionza di turno quando
si torna tardi la sera e sul traffico che si trova sul raccordo
quando ci si sveglia tardi perché si è fatto tardi la notte.
Insomma,
tutto quello che un papà squicchionzo deve dire al suo figlioletto
perché sia ricordato negli annali degli squicchionzi memorabili,
quelli veramente degni del nome di squicchionzo più squicchionzo
dell'anno. Ma anche lui, il papà, dimenticò di raccontare una cosa
importante, anzi essenziale nella vita di ogni uccello vivente:
evitare ogni contatto possibile con l'uomo con due gambe ed il
bastone che spara: il cacciatore.
E
fu così che, per tutte queste dimenticanze, il piccolo adulto di
squicchietto andò incontro alla vita evitando dì evitare l'incontro
che avrebbe potuto cambiargli la vita in qualcosa di diverso: una
padella, uno spiedo, una polenta con gli osei o, se proprio poteva
dirsi fortunato, una gabbietta in compagnia di un osso di
seppia per arrotarsi il becco e canticchiare le rarissime canzoni
dello squicchietto pescatore.
E
così si trovò, dopo
una passeggiata, in cerca di vermetti freschi e carnosi, a scansare
la piccola parete d’erba che si poneva davanti a sé.
La
piccola collinetta che portava alla parete d'erba finiva di
colpo, e nascondeva
uno spiazzo, posto a una trentina di piedi, anzi di zampe di
squicchio,
verso il basso.
Nello
spiazzo, un albero riempiva di un'ombra fresca e umida l'aria, che
conciliava il sonno.
E
così fu. Lo squicchietto si appoggiò ad
un ramoscello, con la pancia piena di vermetti e, in principio di
digestione, calò le palpebrette per un momento.
Ma,
un tremendo rumore lo svegliò di soprassalto.
Cos'era
questo fracasso tremendo? Sembrava un insieme di strascichìo e di
rombo assordante; poi, un risucchio, come un fischio. Poi di nuovo il
frastuono, come un'ondata di martelli su dei covoni di legname.
Con
gli occhi spalancati ed il cuoricino in tumulto, lo squicchietto si
guardò intorno, anzi guardò verso l'origine di quel frastuono.
Un
uomo, un essere corpulento, con un pancione prominente, era
appoggiato, seduto, alla base dell'albero e stava russando in
quell'orrendo modo.
"Accidenti"
- pensò lo squicchietto - "Cose questa specie di ippopotamo!?!
E che razza di grugnito emette!... Però, mi sembra innocuo." E,
zampettando intorno all'uomo, lo squicchietto si
rese conto che,
oltre ad emettere suoni orrendi, l'essere panciuto altro non faceva.
Poco
più in là dell'uomo, appoggiato anch'esso all'albero, c'era un
bastone nero, con una lunga canna doppia lucida. Lo squicchietto si
avvicinò, saltellando, a quello strano oggetto. Non sapeva, lo
squicchietto, perché nessuno lo aveva messo in guardia, che aveva
davanti a sé lo strumento di morte per tutti gli esserini volanti
come lui, e di cui tutti gli esserini volanti, nel loro cervello,
avevano un'immagine negativa terribilmente da
incubo: il caca'atore con il fucile teso che spara.
Tutti
gli esserini volanti che avevano solo sentito il fischio dei
pallettoni o che erano stati colpiti in maniera non letale, avevano
potuto raccontare quella macabra esperienza e quel pessimo incontro.
Lo
squicchietto no. Non sapeva nulla del cacciatore e del suo strumento
di morte per piacere. Perché il cacciatore uccide solo per diletto.
Ammazza solo per il piacere di appendere degli esserini inermi e
dolcissimi per le zampette, a testa in giù. Perché il cacciatore
non caccia uccelli rapaci, ma solo quelli che non fanno del male a
nessuno, se non alle mosche e ai vermetti, o che si cibano solo di
semi. Perché il caca’atore uccide solo per sfogarsi del nervosismo
di essersi svegliato alle quattro di mattina, di essere andato in
me?70
ad
un bosco umido e nebbioso, di essersi trascinato dietro un cagnastro
che lo tira da tutte le parti e di essersi bardato come un marine
americano, in tuta mimetica e stivaloni o scarpe chiodate che gli
fanno male e soprattutto deve sfogarsi perché gli fanno pagare una
tassa enorme, ma mai abbastanza enorme, per possedere quel fucile.
E
allora, per tutto questo e per chissà cos'altro, il cacciatore
spara.
Ma
è un amante della natura, il cacciatore. A sentir lui, se non
esistesse lui, che la difende con le armi, la natura non esisterebbe,
aggredita dal cemento selvaggio. Fortunatamente il cacciatore, con i
suoi stivali e il suo fucile, difende, e difendono, la natura
incontaminata ed i suoi paesaggi eterni: tramite la sua eternità;
perché la caccia esiste da
quando esiste l'uomo. E' un pò come la guerra: se vuoi la pace…
Ma
tutto questo lo squicchietto non lo sapeva.
Lui
guardava la doppia canna del bastone e rifletteva sul suo riflesso.
"Cosa
sarà mai questo coso" - pensava lo squicchietto - "E chi è
quello che vedo muoversi su di esso?
La
sua immagine, quella dello squicchietto, gli compariva sullo specchio
nero della canna del fucile, assottigliata dalla curvatura.
Improvvisamente,
riconobbe un'immagine familiare: un essere simile a lui, anche se
molto più magro di lui. Lo squicchietto sapeva di essere un pò sù,
di peso, sempre bramoso com'era di vermetti grossi. La sua pancetta
era robusta, ma questo non gli era mai sembrato un problema. Era un
gaudente e gli piaceva appesantirsi un pò più del normale, cosa che
gli dava anche molta voglia di cantare.
Però
questo faceva sì che gli piacessero le uccelline magre, le passere
più che le gnocche, le esili più che le paffute, le farfalline più
che li ciccebaffe.
E,
davanti a lui, ecco presentarglisi la squicchietto della sua vita, in
realtà riflessa immagine strizzata di sé stesso sulla canna di un
fucile. Ma lui non lo sapeva. Lo squicchietto non brilla molto di
intelligenza; non ha l'indole del pappagallo, a cui puoi chiedere
indirizzo e numero di telefono, o quello del piccione viaggiatore, a
cui puoi mandare messaggi via eMail
per
farti consegnare un pacco.
No,
lo squicchietto,
specie questo in particolare, può prendere per sua fidanzata
l'immagine propria riflessa sulla canna di un fucile.
E
così, lo squicchietto cominciò a ragionare; per lo meno per quello
che la sua minima massa cerebrale permetteva.
E’
ora che mi sposo" - pensò - "E' ora che metto su casa"
- si disse - "E' ora che mi faccio una famiglia" –
argomentò.
E
ognuna di queste tre frasi prese a ripeterle così come fa lo
squicchietto; cioè come niente di intelleggibile per un essere
umano, ma come invece il segnale ripetuto e trillante dello
squicchietto in amore.
SQUIT-SQUIT-SQUIT
! Poi una pausa in attesa di risposta e poi di nuovo
SQUIT-SQUIT-SQUIT
! Per una serie interminabile di cicli.
Orbene,
il cacciatore che ha mangiato la porchetta con la frittata ha
senz'altro tanto da digerire, specie dopo aver tracannato un litrozzo
di vino.
Ma
quando anche il cane ti tira il guinzaglio che hai legato alla
cintura e ti abbaia
nelle
orecchie, il trillio dello squicchietto il cacciatore comincia a
sentirlo, anche se sovrastato dal suo stesso russare.
E
così il cacciatore smette di russare e spalanca gli occhi.
E
si guarda intorno di scatto
per vedere da
dove
viene quel trillare.
Pur
non vedendolo, perché nascosto dall'erba, il cacciatore capisce la
posizione dello squicchietto: è accanto al suo fucile.
Nel
frattempo lo squicchietto sta mettendo su casa. Di poco si accorge di
cosa sta accadendo. E così strappa foglie d'erba
e
svolacchiando va sull'estremità di quello che crede essere un ramo
nero.
Comincia
a costruire quello che, crede, sarà il suo nido. E prende a
inzeppare, come gli ha spiegato il suo papà.
E
mentre lui inzeppa, il cacciatore lo vede.
In
cima al suo fucile.
Incredibile
! Che occasione d'oro ! Come un calciatore davanti a una porta vuota
! Gli frulla una battuta per la testa: il calciatore ed il cacciatore
differiscono solo per la grandezza delle palle.
Sorride,
il cacciatore. Questa l'avrebbe raccontata al circolo della caccia.
E
di soppiatto si avvicina allo squicchietto che sovrasta il suo
fucile.
Dal
canto suo, lo squicchietto continua a cantare.
SQUIT-SQUIT-SQUIT!
SQUIT-SQUIT-SQUIT!
Continuando
ad
inzeppare.
Il
cacciatore nel frattempo ha il suo da fare per liberarsi la cintura
dal guinzaglio del cane, che lo tormenta agitato. Gli dà uno
scappellotto sulla testa, per farlo smettere di abbaiare. Rischia di
far scappare quella specie di tordo tonto in quella posizione
favorevole.
Strisciando
nell'erba, è arrivato vicino al fucile.
Si
riguarda la sua preda, pensando "Peccato, è troppo piccolo per
poterlo mangiare e troppo vicino perché col colpo possa rimanerci
qualcosa. D'altronde non posso lasciarlo perché non potrei
perdonarmelo e mi rimarrebbe il rimorso per tutta la vita... di non
averlo ucciso. LO DEVO FARE. Ne va della mia carriera. E del mio
onore !"
E
con il dito giunto all'incavo del grilletto ripensò alla battuta
delle palle del calciatore. E gli venne un gran sorriso a denti
stretti.
E
tirò giù il grilletto.
La
canna del fucile era piena zeppa di zeppi. E anche di foglie.
Quando
uno squicchietto fa il suo nido, inzeppa all'inverosimile
Il
fucile esplose.
Con
un gran botto.
Ma
lo squicchietto non se ne accorse neanche. Ebbe solo un sobbalzo.
La
canna si era sfondata di fianco.
L'uccello
vide una testa di cacciatore volare a gran distanza, con una parabola
ascendente.
La
sua squicchietto era scappata via, pensò. Chissà perché.
Forse
aveva esagerato a volerla mettere davanti al fatto compiuto.
Emise
un altro trillo, lo squicchietto; e si
meravigliò di
non riuscire a sentire la sua voce.
Era
diventato sordo, per il momento. Per il botto.
Anche
il cacciatore era diventato sordo. Definitivamente.
Quando
lo ritrovarono non capirono perché si
era suicidato, il
cacciatore.
E
soprattutto non capirono perché aveva ancora quel sorriso ebete
sulle labbra.
Ma
lo squicchietto capì che non bisogna avvicinarsi troppo all'uomo.
Anche
se non capì chi è che in genere si fa di più del male.
Così
lo squicchietto se ne volò via, continuando a vivere lo stesso
felice e contento.
RobAng - Gaeta,
1
luglio 2003
Versione AUDIO: https://soundcloud.com/user-809160538-852922838/losquicchietto_001_colonnasonora-190319-1700
Versione AUDIO: https://soundcloud.com/user-809160538-852922838/losquicchietto_001_colonnasonora-190319-1700
Commenti
Posta un commento