Lo Squicchietto - Il racconto






Lo Squicchietto ( per le allodole )



Squicchiando, l'uccellino aprì con le ali la piccola parete di fili d’erba che si trovava davanti a sé.



Era ormai diventato adulto e aveva da tempo lasciato il suo nido, volando a sbatti d’ali.



Mamma Squicchietto l'aveva erudito in tutto quello che si sarebbe dovuto aspettare dalla vita: il procacciarsi il cibo, le squicchionze pericolose e le cattive compagnie. E le compagne giuste: quelle con cui fare il nido e aspettare tanti squicchionzi.



Ma aveva dimenticato, la mamma, di parlare dell'uomo, quello con le due gambe che regge il bastone che spara.



Papà squicchietto, dal canto suo, gli aveva insegnato tutti i trucchi del mestiere di squicchionzo: dove trovare le squicchionze che la danno solo per un seme di melone, dove trovare le cattive compagnie e come diventare il capogruppo; come raccontare balle alla squicchionza di turno quando si torna tardi la sera e sul traffico che si trova sul raccordo quando ci si sveglia tardi perché si è fatto tardi la notte.

Insomma, tutto quello che un papà squicchionzo deve dire al suo figlioletto perché sia ricordato negli annali degli squicchionzi memorabili, quelli veramente degni del nome di squicchionzo più squicchionzo dell'anno. Ma anche lui, il papà, dimenticò di raccontare una cosa importante, anzi essenziale nella vita di ogni uccello vivente: evitare ogni contatto possibile con l'uomo con due gambe ed il bastone che spara: il cacciatore.



E fu così che, per tutte queste dimenticanze, il piccolo adulto di squicchietto andò incontro alla vita evitando dì evitare l'incontro che avrebbe potuto cambiargli la vita in qualcosa di diverso: una padella, uno spiedo, una polenta con gli osei o, se proprio poteva dirsi fortunato, una gabbietta in compagnia di un osso di seppia per arrotarsi il becco e canticchiare le rarissime canzoni dello squicchietto pescatore.



E così si trovò, dopo una passeggiata, in cerca di vermetti freschi e carnosi, a scansare la piccola parete d’erba che si poneva davanti a sé.



La piccola collinetta che portava alla parete d'erba finiva di colpo, e nascondeva uno spiazzo, posto a una trentina di piedi, anzi di zampe di squicchio, verso il basso.



Nello spiazzo, un albero riempiva di un'ombra fresca e umida l'aria, che conciliava il sonno.

E così fu. Lo squicchietto si appoggiò ad un ramoscello, con la pancia piena di vermetti e, in principio di digestione, calò le palpebrette per un momento.



Ma, un tremendo rumore lo svegliò di soprassalto.



Cos'era questo fracasso tremendo? Sembrava un insieme di strascichìo e di rombo assordante; poi, un risucchio, come un fischio. Poi di nuovo il frastuono, come un'ondata di martelli su dei covoni di legname.



Con gli occhi spalancati ed il cuoricino in tumulto, lo squicchietto si guardò intorno, anzi guardò verso l'origine di quel frastuono.



Un uomo, un essere corpulento, con un pancione prominente, era appoggiato, seduto, alla base dell'albero e stava russando in quell'orrendo modo.



"Accidenti" - pensò lo squicchietto - "Cose questa specie di ippopotamo!?! E che razza di grugnito emette!... Però, mi sembra innocuo." E, zampettando intorno all'uomo, lo squicchietto si rese conto che, oltre ad emettere suoni orrendi, l'essere panciuto altro non faceva.



Poco più in là dell'uomo, appoggiato anch'esso all'albero, c'era un bastone nero, con una lunga canna doppia lucida. Lo squicchietto si avvicinò, saltellando, a quello strano oggetto. Non sapeva, lo squicchietto, perché nessuno lo aveva messo in guardia, che aveva davanti a sé lo strumento di morte per tutti gli esserini volanti come lui, e di cui tutti gli esserini volanti, nel loro cervello, avevano un'immagine negativa terribilmente da incubo: il caca'atore con il fucile teso che spara.



Tutti gli esserini volanti che avevano solo sentito il fischio dei pallettoni o che erano stati colpiti in maniera non letale, avevano potuto raccontare quella macabra esperienza e quel pessimo incontro.



Lo squicchietto no. Non sapeva nulla del cacciatore e del suo strumento di morte per piacere. Perché il cacciatore uccide solo per diletto. Ammazza solo per il piacere di appendere degli esserini inermi e dolcissimi per le zampette, a testa in giù. Perché il cacciatore non caccia uccelli rapaci, ma solo quelli che non fanno del male a nessuno, se non alle mosche e ai vermetti, o che si cibano solo di semi. Perché il caca’atore uccide solo per sfogarsi del nervosismo di essersi svegliato alle quattro di mattina, di essere andato in me?70 ad un bosco umido e nebbioso, di essersi trascinato dietro un cagnastro che lo tira da tutte le parti e di essersi bardato come un marine americano, in tuta mimetica e stivaloni o scarpe chiodate che gli fanno male e soprattutto deve sfogarsi perché gli fanno pagare una tassa enorme, ma mai abbastanza enorme, per possedere quel fucile.



E allora, per tutto questo e per chissà cos'altro, il cacciatore spara.



Ma è un amante della natura, il cacciatore. A sentir lui, se non esistesse lui, che la difende con le armi, la natura non esisterebbe, aggredita dal cemento selvaggio. Fortunatamente il cacciatore, con i suoi stivali e il suo fucile, difende, e difendono, la natura incontaminata ed i suoi paesaggi eterni: tramite la sua eternità; perché la caccia esiste da quando esiste l'uomo. E' un pò come la guerra: se vuoi la pace…



Ma tutto questo lo squicchietto non lo sapeva.



Lui guardava la doppia canna del bastone e rifletteva sul suo riflesso.



"Cosa sarà mai questo coso" - pensava lo squicchietto - "E chi è quello che vedo muoversi su di esso?



La sua immagine, quella dello squicchietto, gli compariva sullo specchio nero della canna del fucile, assottigliata dalla curvatura.



Improvvisamente, riconobbe un'immagine familiare: un essere simile a lui, anche se molto più magro di lui. Lo squicchietto sapeva di essere un pò sù, di peso, sempre bramoso com'era di vermetti grossi. La sua pancetta era robusta, ma questo non gli era mai sembrato un problema. Era un gaudente e gli piaceva appesantirsi un pò più del normale, cosa che gli dava anche molta voglia di cantare.



Però questo faceva sì che gli piacessero le uccelline magre, le passere più che le gnocche, le esili più che le paffute, le farfalline più che li ciccebaffe.

E, davanti a lui, ecco presentarglisi la squicchietto della sua vita, in realtà riflessa immagine strizzata di sé stesso sulla canna di un fucile. Ma lui non lo sapeva. Lo squicchietto non brilla molto di intelligenza; non ha l'indole del pappagallo, a cui puoi chiedere indirizzo e numero di telefono, o quello del piccione viaggiatore, a cui puoi mandare messaggi via eMail per farti consegnare un pacco.



No, lo squicchietto, specie questo in particolare, può prendere per sua fidanzata l'immagine propria riflessa sulla canna di un fucile.



E così, lo squicchietto cominciò a ragionare; per lo meno per quello che la sua minima massa cerebrale permetteva.



E’ ora che mi sposo" - pensò - "E' ora che metto su casa" - si disse - "E' ora che mi faccio una famiglia" – argomentò.



E ognuna di queste tre frasi prese a ripeterle così come fa lo squicchietto; cioè come niente di intelleggibile per un essere umano, ma come invece il segnale ripetuto e trillante dello squicchietto in amore.



SQUIT-SQUIT-SQUIT ! Poi una pausa in attesa di risposta e poi di nuovo

SQUIT-SQUIT-SQUIT ! Per una serie interminabile di cicli.



Orbene, il cacciatore che ha mangiato la porchetta con la frittata ha senz'altro tanto da digerire, specie dopo aver tracannato un litrozzo di vino.



Ma quando anche il cane ti tira il guinzaglio che hai legato alla cintura e ti abbaia nelle orecchie, il trillio dello squicchietto il cacciatore comincia a sentirlo, anche se sovrastato dal suo stesso russare.



E così il cacciatore smette di russare e spalanca gli occhi.



E si guarda intorno di scatto per vedere da dove viene quel trillare.



Pur non vedendolo, perché nascosto dall'erba, il cacciatore capisce la posizione dello squicchietto: è accanto al suo fucile.



Nel frattempo lo squicchietto sta mettendo su casa. Di poco si accorge di cosa sta accadendo. E così strappa foglie d'erba e svolacchiando va sull'estremità di quello che crede essere un ramo nero.

Comincia a costruire quello che, crede, sarà il suo nido. E prende a inzeppare, come gli ha spiegato il suo papà.



E mentre lui inzeppa, il cacciatore lo vede.



In cima al suo fucile.



Incredibile ! Che occasione d'oro ! Come un calciatore davanti a una porta vuota ! Gli frulla una battuta per la testa: il calciatore ed il cacciatore differiscono solo per la grandezza delle palle.



Sorride, il cacciatore. Questa l'avrebbe raccontata al circolo della caccia.



E di soppiatto si avvicina allo squicchietto che sovrasta il suo fucile.



Dal canto suo, lo squicchietto continua a cantare.



SQUIT-SQUIT-SQUIT!



SQUIT-SQUIT-SQUIT!



Continuando ad inzeppare.

Il cacciatore nel frattempo ha il suo da fare per liberarsi la cintura dal guinzaglio del cane, che lo tormenta agitato. Gli dà uno scappellotto sulla testa, per farlo smettere di abbaiare. Rischia di far scappare quella specie di tordo tonto in quella posizione favorevole.



Strisciando nell'erba, è arrivato vicino al fucile.



Si riguarda la sua preda, pensando "Peccato, è troppo piccolo per poterlo mangiare e troppo vicino perché col colpo possa rimanerci qualcosa. D'altronde non posso lasciarlo perché non potrei perdonarmelo e mi rimarrebbe il rimorso per tutta la vita... di non averlo ucciso. LO DEVO FARE. Ne va della mia carriera. E del mio onore !"



E con il dito giunto all'incavo del grilletto ripensò alla battuta delle palle del calciatore. E gli venne un gran sorriso a denti stretti.



E tirò giù il grilletto.



La canna del fucile era piena zeppa di zeppi. E anche di foglie.




Quando uno squicchietto fa il suo nido, inzeppa all'inverosimile



Il fucile esplose.



Con un gran botto.



Ma lo squicchietto non se ne accorse neanche. Ebbe solo un sobbalzo.



La canna si era sfondata di fianco.



L'uccello vide una testa di cacciatore volare a gran distanza, con una parabola ascendente.



La sua squicchietto era scappata via, pensò. Chissà perché.



Forse aveva esagerato a volerla mettere davanti al fatto compiuto.



Emise un altro trillo, lo squicchietto; e si meravigliò di non riuscire a sentire la sua voce.



Era diventato sordo, per il momento. Per il botto.



Anche il cacciatore era diventato sordo. Definitivamente.

Quando lo ritrovarono non capirono perché si era suicidato, il cacciatore.



E soprattutto non capirono perché aveva ancora quel sorriso ebete sulle labbra.

Ma lo squicchietto capì che non bisogna avvicinarsi troppo all'uomo.



Anche se non capì chi è che in genere si fa di più del male.

Così lo squicchietto se ne volò via, continuando a vivere lo stesso felice e contento.

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